Era il liceo artistico di via di Ripetta, nel ‘99 più o meno. Lui insegnava “Figurativo”, che è sostanzialmente disegno ma c’è ampia libertà di manovra, si può spaziare. Quarto e quinto anno, forse anche terzo. Essendo abituati negli anni precedenti a copiare bottiglie, oggetti e sculture varie, ci aspettavamo qualcosa del genere. Primo disegno da fare, “Lo spirito degli angoli”. Così, senza ulteriori dettagli. Lì ti giocavi buona parte di quello che sarebbe stato il suo voto finale anni dopo. Se non gli andavi a genio in quella prima occasione eri segnato, difficilmente avresti potuto recuperare. Questa cosa non la sapevamo all’epoca ma comunque percepivamo che si trattava di una situazione delicata. Qualora fossi sopravvissuto al primo spirito ecco subito il secondo, una via di mezzo tra un rito di iniziazione e il Canto di Natale di Dickens: secondo round, “L’emozione delle Curve”. Fondamentalmente si trattava di smussare il primo spirito, ma la cosa oramai era diventata divertente e tutti volevano stupire il prof, nel bene o nel male. Un giorno ci chiese di disegnare il vomito. Qui le cose si facevano ancor più complicate: chi è che non ha mai visto del vomito in vita propria? Bandito quindi qualsivoglia tipo di domanda. Infine il “ritorno” al figurativo, dovevamo disegnare delle mani, le proprie. Ora, io mi mangiavo le unghie, di conseguenza le dita riprodotte rispecchiavano questo mio vizio. Tacchi girava per i banchi dispensando smorfie, interpretarle non era facile, io resto dell’idea che molte le buttasse lì apposta, tra la provocazione e il depistaggio, per vedere di nascosto l’effetto che fa. Si sedette accanto a me, prese la matita e modificò il mio disegno, facendo crescermi le unghie all’istante in una sorta di prodigio divino. Obiettai che le mie mani non erano così come lui le aveva rappresentate, gliele feci anche vedere a sostegno della mia tesi, ero convinto di portare una prova inattaccabile. Lui mi guardò, guardò il disegno, poi le mie mani, quindi di nuovo il disegno. Pausa, smorfia e infine: “Che cavolo me ne frega, se hai le mani sbagliate è un problema tuo”. Dedicato a Cesare Tacchi (Roma 1940-2014), la cui mostra è in questi giorni al Palazzo delle Esposizioni. L’ho avuto come professore al Liceo, era un artista sempre, h24. Inizialmente pensavi fosse cattivo, poi matto, poi capivi. 21 marzo 2018