C'è stato un tempo in cui ne preparavo di media una a settimana, biscotti, crostate, dolcetti vari, per un compleanno di qualche collega da festeggiare, un pomeriggio a casa di amici, una cena... Insomma ogni scusa era buona per ricorrere alla magia di mettere "le mani in pasta". Un'alchimia vedere gli ingredienti, farina, zucchero, uova, burro e la scorza grattugiata del limone, così diversi per consistenza, natura e origine, amalgamarsi tra loro, farsi genesi di una nuova cosa: la pasta frolla...
Poi un giorno uno dei miei amici, uno dei destinatari principe delle mie crostate domenicali mi aprì la porta di casa e disse: "Guarda che puoi venire da noi anche a mani vuote, senza dover necessariamente cucinare qualcosa, ti vogliamo bene lo stesso".
Un flash si fece breccia nella mia mente, filtrando un'inconsueta luce.
Ho smesso.
E non ho solo smesso con la frolla, ho proprio smesso di dedicarmi alla cucina, soprattutto ai "sacrifici" che la cucina ci impone, fino ad assurgere "birra e patatine" come mio piatto preferito.
Domenica sarà il compleanno del mio Tesorino. Mi ha incaricata di comprare, per lunedì, dei dolci da offrire ai suoi nuovi colleghi.
Non so cosa mi abbia preso, forse l'uggioso clima milanese, o forse quell'antica urgenza di compiacere o semplicemente il desiderio di sentire, ancora una volta, quell'odore inebriante che si sprigiona dalla cottura di un dolce.
Non ho bisogno del quaderno delle ricette, né tanto meno di ricorrere a zio Google, le dosi sono impresse nella mia memoria. Sono quelle utilizzate da mia nonna prima e mia mamma poi.
Oggi mi è scappato un nuovo ingrediente, che spero non alteri il risultato: le due lacrime che rigano il mio volto ricordando mani nodose e aggravate dall'artrosi posarsi su quelle lisce e rosate di bambina.