Oggi, domenica 25 novembre, è la Giornata Internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne. Non parlerò dei tanti casi di stupri, femminicidi, episodi di violenza fisica e anche psicologica che colpiscono ormai quotidianamente le donne di qualsiasi età, ceto e nazionalità. Vi parlerò invece degli aspetti collaterali che sono sotto gli occhi di tutti, e di quelli che non hanno grande visibilità. Con immensa tristezza e una certa dose di rabbia noto come i fatti di cronaca vengano puntualmente strumentalizzati, usati a proprio piacimento, finalizzati a fare audience e a creare consensi. E soprattutto non riesco proprio a comprendere come si possa trasformare le vittime di abusi sessuali in istigatrici degli stessi. La frase ricorrente è "se l'è cercata", accompagnata dalle motivazioni più assurde. In questo modo la persona che ha già subito l'indicibile, continua a subire all'infinito, e a volte non può più difendersi, perché a causa di certi atti scellerati ha smesso di vivere. L'altro aspetto, quello più nascosto, quello di cui non si parla mai perché non serve né ai politici né ai giornalisti, è il dopo. Quando una donna viene uccisa lascia i genitori e i figli, se ne aveva. Figli che hanno vissuto anche loro un clima di violenza e soprusi, figli che dopo hanno paura di tutto. Figli che vengono affidati ai nonni o agli zii, se va bene, se ci sono, altrimenti finiscono chissà dove, chissà con chi, attraverso gli assistenti sociali. Figli che vivono nel terrore, che non riescono a dormire, che guardano i loro simili con i genitori vivi e chiedono fino allo sfinimento "perché papà ha ucciso mamma?". Mi auguro che nessuno possa mai azzardarsi a rispondere "perché se l'è cercata". Buona domenica alle donne che si sono salvate, a quelle che sono sull'arcobaleno, a quelle che troveranno la forza di reagire, a quelle che combattono ogni giorno e a tutte le altre perché le donne non se la cercano, non se la sono cercata e mai se la cercheranno.
SOLO TRE PAROLE
- Donne
- Violenza
- Figli