Fare le cose seriamente, ma non in modo serio. Il registro della mia vita è questo, anche se mi ci sono voluti ben 57 anni per capirlo, perché una cosa è la pratica, un’altra costruirci sopra una teoria spendibile. Scrivo per mestiere (cioè essendo pagato – mai abbastanza – per farlo) da quando ho diciannove anni. Sono diventato uomo facendo il giornalista e questo ha sicuramente influito. Da sempre mi interesso di storie scomode, quelle di cui gli altri si vorrebbero poi occupare, ma solo dopo che sono diventate titoli importanti. La ‘ndrangheta al nord, ad esempio, ma anche i sequestri di persona, i grandi disastri come il terremoto: li ho raccontati tutti, quelli avvenuti in Emilia-Romagna. Prima per la Gazzetta di Parma, ora per la Rai.
Coltivo con cura un sacco di vizi e ho molte passioni a cui invece non dedico il dovuto impegno. Sono salito sui passi alpini in bicicletta, ho corso a piedi fino ad avere il vomito, sono ingrassato e dimagrito più volte proprio in virtù del momento atletico.
Non sopporto le collezioni, ma raccolgo penne stilografiche, giustificandomi col fatto che le utilizzo ancora per scrivere. Non so se sono stato un buon padre e un buon marito: prima ero troppo assente, oggi troppo presente, ma almeno non ho mai avuto pretese. Ogni giorno ringrazio la mia famiglia per non tenere in alcun conto i piccoli traguardi che ho raggiunto e ricordarmi invece puntualmente e con severità quand’è ora di portar giù la spazzatura. Ho tenuto conferenze e lezioni sul giornalismo, sulla criminalità organizzata, sulle agromafie a cui ho dedicato anche un libro.
Ho coronato un sogno, che è quello di pubblicare Favole di fiume, con Oligo editore di Mantova. Non tanto perché mi darà soldi e fama, ma perché ci tenevo proprio che quei racconti venissero letti da altri. Li ho scritti perché mi piace giocare con le parole. Adoro la musica d’autore, specialmente quella italiana, conosco a memoria tutto Guccini, De André e tutto Vecchioni. C’è un verso nel brano A.R. che dice: Ribaltare le parole, invertire il senso fino allo sputo cercando un’altra poesia. Sono partito da lì. Aneddoti e citazioni accumulati in quarant’anni di marciapiede hanno fatto il resto man mano che si componevano sul foglio, prendendo forme e strade che mai avrei immaginato potessero imboccare. Il Po, che è l’asse portante del volume, li giustifica e giustifica anche la mia follia. Solo chi ha visto il Po in certe ore della sera può capire cosa intendo: perché tanta bellezza può far uscir di senno. Il libro vuole essere anche un monito a tutelare, proteggere il fiume e con esso l’ambiente: rappresenta le nostre radici, inquinando quelle compromettiamo anche il nostro futuro.
Il resto del tempo leggo, anche se quasi sempre mi dimentico di titolo e autore (se si esclude Giovannino Guareschi, che ripasso periodicamente). Oppure assaggio salami selezionati dal mio amico Stefano Corradi e sturo bottiglie con una variegata compagnia che considero la mia vera ricchezza. Comunque, per tranquillizzare i lettori posso affermare con consapevolezza che le ore spese a bere e a mangiare sono e saranno sempre decisamente superiori a quelle dedicate alla scrittura, che pur non intendo abbandonare e infatti vorrei portare in scena uno spettacolo teatrale ideato, ovviamente, da me. Per dirla con l’amato Guccini «ci vuole scienza, ci vuol costanza ad invecchiare senza maturità».
SOLO TRE DOMANDE
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