E così eccoti qui, solo. Seduto davanti a un computer a cercar di raccontare chi sei. E perché poi?
Fondamentalmente solo perché non ti conosce nessuno. Dunque ti chiedi: forse era meglio starsene in bermuda con i piedi affondati nella sabbia rovente della spiaggia di Salvador de Bahia a gestire quel baretto. Già, quante volte ti sei pentito di aver mollato tutto. Però ormai è fatta, è andata così. Il bar in Brasile non c’è più e tu non vendi più cerveja, ma i tuoi libri. Dunque devi cercare di sostituire quel pronome indefinito “nessuno” con uno meno categorico. Basterebbe almeno far suonare la frase così: “Solo qualcuno ti conosce”. Sarebbe già un inizio. Così torni indietro. A quando ti sei preso quella laurea in Sociologia con una tesi che parlava del rapporto conflittuale tra Unione europea e Stati nazionali. Era il 1992, una vita fa. Ma neanche tanto, visto che nel 2022 si parla ancora del rapporto conflittuale tra Unione europea e Stati nazionali. Oltre che per il tennis, che ti ha lasciato il vizio di autoincitarti con soliloqui in seconda persona, andavi matto per le mappe. E su queste hai cominciato a ragionarci sopra la politica. Hai studiato la tua terra, il Trentino Alto Adige/Südtirol e ne hai raccontato le caratteristiche in vari saggi per “Limes. Rivista italiana di geopolitica”. Intanto viaggiavi. All’inizio spesso in Spagna. Quante volte ci sei stato? Solo a Pamplona mille volte. Poi Barcellona, Madrid, Saragozza, Siviglia, Cordoba, Granada e il deserto di Tabernas. Ma anche il Nord, in bicicletta fino a Santiago de Compostela… Il tuo primo romanzo “Spagna” (2003) è frutto di quell’amore. Poi sei tornato a sondare i tuoi paraggi con “Seme di metallo”, un romanzo che con le tinte del noir, raccontava la genesi dell’industria Montecatini. Eppure il viaggio era un magnete sempre attivo. Lo so che lo sai: non volevi fuggire, per te viaggiare significava solo cercare un altro punto di vista sul mondo e su te stesso. Dicevi sempre che spostarti ti dava la possibilità di osservare da lontano le tue convinzioni e il tuo habitat, come da un cannocchiale rovesciato. Così, vedendoti più piccolo, potevi percepire con più distacco le tue abitudini e il tuo universo. Che alla fine si rivelava un micro-universo.
In viaggio, il tuo lavoro di reporter ti ha portato a raccontare: Turchia, Cuba, Qatar, Polonia, Messico, Portogallo. Tunisia, Egitto, Marocco, Santo Domingo, India e, naturalmente, Brasile. Già, torna fuori il Brasile. Lì hai abitato parecchio. Lì ci hai pure lavorato, con tanto di codice fiscale (il Cpf, come si chiama là). Hai visto la burocrazia, le difficoltà, le opportunità. Eri a Salvador de Bahia nel giorno in cui Lula è stato eletto presidente per la seconda volta, nel 2006. Eri in Brasile nel 2014 quando si è giocato quel Mondiale di calcio indigeribile sia per l’Italia che per i verde-oro. Da là hai scritto le corrispondenze poi raccolte in “Caro Brasile” e il romanzo sui Mondiali “Maracanã”. Sempre da Salvador, dai tavolini sbilenchi poggiati nella sabbia di quel baretto – la Barber Cabana – hai cominciato a stendere le prime pagine de “Il samba di Priscilla”. Un romanzo che racconta la storia di una giornalista brasiliana tenace e ribelle finita nel vischio dei sotterfugi orchestrati dalla Federcalcio brasiliana per coprire le mazzette del governo del Qatar in cambio dell’organizzazione dei Mondiali di calcio del 2022. Già, ne hai impiegato di tempo per scrivere questo libro. Ma finalmente, dopo oltre dieci anni, sei riuscito a finirlo. Giusto in tempo per il Mondiale in Qatar. Forse solo per quello.
SOLO TRE DOMANDE
- Mi descrivo con solo tre aggettivi
- Ribelle (come tutti i giramondo).
- Frizzante (come il Dom Perignon).
- Irascibile (come Braccio di Ferro).
- Il solo evento che mi ha cambiato la vita
- Prendere la Barber Cabana, il baretto sulla spiaggia in Brasile.
- Solo un link socialmente utile
per saperne di più su Maurilio barozzi
https://www.mauriliobarozzi.net/