Michela Giordani ha aderito al Gruppo de "I Poeti del Prenestino Labicano"!
la presentazione di Claudio Monachesi
Ho conosciuto Michela Giordani quando ci furono nel quartiere le lotte per il ripristino del capolinea della linea Atac 81 che era stata tolta dalla sua sede naturale e storica di piazza Malatesta. Fu lei, la Giordani, che durante le proteste nelle vie del quartiere e i suoi chiarimenti pubblici megafonati e le presentazioni degli “ospiti combattenti” che via via si alternavano al suo microfono, mi definì poeta civile, dicitore di poesia a tema che dovevano essere “gridate”. Poi, di lei, scoprii la sua naturale attitudine alla poesia, alla visione poetica della vita, al suo porgere con la parola i fatti della vita, mediante la sua interiorità, attraverso il suo esser spontaneamente poeta. Nel suo saggio “L'incontro- Virginia Woolf Marguerite Yuorcenar” la Giordani così si esprime a proposito del romanzo “Le onde” della Woolf: “Nell'emissione verbale, sonora, la parola si propaga ad onde nell'aria e in essa si diluisce, si fa eterea, leggera” e ancora: “ Se la poesia è innanzitutto ritmo e musicalità, allora “Le onde” è uno strumento che Virginia Woolf arpeggia ad arte”. Michela Giordani nel suo libro cita, a proposito dell'essere poeta, Marguerite Youcenar; alla quale gli fu chiesto: “ Si considera poeta?” lei così risponde: “ Per me poeta è qualcuno che è 'in contatto', qualcuno attraverso cui passa una corrente...” E l'amore per la poesia, mi viene da dire, si manifesta attraverso questo 'contatto', con tutta la moltitudine dei mezzi che abbiamo a disposizione e che noi abbiamo definito per convenzione: poesia prosa arti visive musicali, ecc. eccetera. E ancora, così chiarisce la Giordani: necessita “tentare la grande avventura di addentrare la scrittura in una dimensione intangibile, ineffabile, metafisica e trascendente quale è la dimensione più segreta e intima della realtà, ovvero: l'anima...” Claudio Monachesi 15 settembre 2023
IL MANIFESTO
I POETI DEL PRENESTINO LABICANO
Si propongono di portare la loro poesia nel quartiere, leggendo personalmente i loro versi per essere ascoltati da chiunque entri in sintonia con loro.
Certi che la Poesia, quando è tale, possa risvegliare le coscienze dalla sedazione a cui, molti di noi, sono stati sottoposti o voluti sottoporre.
Il Poeta è in grado di fare questo, e per questo non si può sottrarre a questa azione poetica, che è una vera e propria poetizzazione dell'ambiente in cui vive, in cui opera.
Non c'è bisogno di costituire circoli culturali, letterari, o quant'altro.
Noi, I Poeti del Prenestino Labicano, siamo convinti che la Poesia possa arrivare a tutti, specialmente al grande numero dei non poeti, specialmente a coloro che conservano la semplicità e l'attitudine all'ascolto, ed è proprio a questi che noi principalmente vogliamo portare a piene mani tutta la Poesia possibile.
Tuttavia ci proponiamo di educare alla Poesia perfino coloro che si mostrano detrattori di questa, perché riteniamo che la Poesia appartenga geneticamente a ogni essere umano.
Claudio Monachesi Roma, Domenica 23.4.23
Michela giordani
Di connaturato buon umore - complice una sana e robusta costituzione, di indole solitaria e un po’ selvatica ma non priva di una discreta socievolezza, passo l’infanzia tra un quartiere e l’altro di Roma, per via di una certa irrequietezza familiare. Qualche anno lo trascorro in collina, in una casetta senza fondamenta della campagna laziale - piuttosto fredda d’inverno ma immersa in un verde imperante e circondata da alberi da frutto: un fico, un albicocco, un susino, e un ciliegio. E tanto bastava per adorarla.
Ma...La mai sopita irrequietezza familiare mi ricatapulta, alle soglie dell’adolescenza, di nuovo in città. Delle due realtà, quella urbana e quella rurale, osservo e assorbo ritmi e dinamiche, mantenendo, per quanto incantevole Roma sia, una maggiore affinità con la terra che col cemento.Raggiunta l’età della ragione mi esalta la possibilità di accedere al mondo senza limiti linguistici e per bussola una buona dose di poesia. Questa la molla che mi spinge a concludere il corso di laurea in Lingue e Letterature straniere a La Sapienza. Ma a parte un paio di brevi e accidentate incursione all’estero, prima e dopo la maturità, di fatto da Roma non schioderò a lungo, perché se viaggiare è un lusso, lavorare, già nei primi anni Novanta, ci andava vicino. Si percepivano a pelle gli effetti anticipati delle imminenti politiche di flessibilità e precarizzazione.
Parallelamente agli studi, inizio un lavoro part-time come centralinista in un’agenzia di stampa radiofonica, gradino d’accesso a una formazione professionale da giornalista che sognavo da bambina. Ho lavorato quindici anni nel settore, attraversando testate radiotelevisive e di carta stampata. Ma l’onda lunga della flessibilità ha avuto la meglio sulla mia resistenza – e l’entusiasmo dei vent’anni a trentacinque era piegato dal frequente cambio di contesto, da una permanente e stressante messa alla prova, dai continui adattamenti a ritmi e turni ostili al metabolismo senza altra prospettiva che le sole sostituzioni estive, natalizie e pasquali. In questo sistema, il paradosso è stato che invece che consolidarsi, con gli anni l’esperienza è andata incespicando e frammentandosi. Esausta, mi cancello dall’albo e invalido il tesserino rosso tanto faticosamente conquistato. Smarrendo per un po’ il senso dell’orientamento e della mia identità.
Necessità, versatilità e spirito di adattamento (grazie anche ad anni di buona terapia psicanalitica) mi spingono a cogliere senza troppe elucubrazioni le occasioni del momento: così torno ai tavoli dei locali dove servivo da ragazza nei fine settimana ai tempi dell’università. Negli anni della gravidanza, i miei 40, mi invento sarta e cucio fasce per neonati dopo averle testate (con successo) su mia figlia; per un anno insegno inglese e francese in una scuola di recupero, poi metto a frutto dieci anni di danza e percussioni arabe studiate per diletto, e insegno danza araba dando vita a spettacoli di strada dal nome Donne che danzano coi Lupi (mutuato dal titolo del capolavoro di Clarissa Pinkòla Estès): in difesa dell’ambiente e contro la speculazione edilizia. A teatro metto in scena, insieme alle allieve del corso, uno spettacolo di danza e poesia, intitolato: Le Onde, un omaggio al mare e a due scrittrici che gli hanno tributato opere magnifiche: Virginia Woolf e Emily Dickinson. A Virginia Woolf, a Le Onde e a Marguerite Yourcenar che ha tradotto il capolavoro della scrittrice inglese ho dedicato anche un saggio: "L’Incontro".
le poesie
ABBANDONI
Me li porto addosso
a strati
che non ero ancora nata
come cappotti lisi
Ci ho fatto tanto l’abitudine
da non badarci neanche più
allo strappo, al lembo scucito
ai palpiti che vanno raggelandosi
tra un bottone e l’altro che s’è perso
Neppure più lo squarcio
avverto
dietro la schiena già curva
in un oltraggio di vecchiaia - eppure è lì che passa
lo spiffero micidiale:
Come un barbone concio d’Inverno
Pure sotto un feroce sole estivo
Col suo carrello della spesa
colmo, fino all’orlo,
di Povertà
Li ho deposti,
uno alla volta,
agli angoli di un viaggio
sperso e affamato -
qualcuno lo indosso ancora,
una brutta compagnia
che va morendo
Sogni di lusso mi hanno fatto visita:
tessuti solidi, trame di lealtà
che ora vado cercando
Se non ne trovassi
mi aggirerò per strada
come certi ragazzini
che corrono per campi
in mutande.
ALTA MAREA
Lacrime
indecifrabili
piovono
in questo Giorno
Perfetto
forse il Destino - in alta marea
che tracima dagli occhi
mentre Luglio,
biondissimo
soffia caldo
il suo Capolavoro