Rasim Sejdić è uno scrittore e poeta di etnia Rom. Nato nel 1943 a Vlasenica - una città situata nella Repubblica Serba in Bosnia - da una famiglia del gruppo dei Romà Xoraxané, è morto nel 1980 a Sarajevo - la più grande città nonché capitale della Bosnia ed Erzegovina. Rasim, già all’età di 14 anni, cantava, suonava la chitarra e scriveva racconti e poesie in serbo-croato e in romanès. Aveva l’abitudine di raccontare soprattutto Fiabe, Storie e Poesie. Il padre e la madre di Rasim Sejdić - Mehmed Sejdić e Džehva Sejdić (Hrustić) -, vivevano nella periferia della città di Vlasenica. Avevano 9 figli, 5 maschi e 4 femmine, e possedevano una fattoria con boschi, ruscelli, alberi da frutto, tantissima terra da coltivare e animali da accudire. Mehmed Sejdić lavorava per la costruzione delle strade nella città di Vlasenica. Nel tempo libero, con gli amici, beveva il liquore di prugne di sua produzione: la Šljivovica. Cantava e suonava il tipico strumento bosniaco, la šargija. Džehva Sejdić era casalinga, era esperta nella medicina naturale e sapeva leggere il futuro.
Rasim crebbe in quest’ambiente ed ebbe a sua volta 5 figli. Negli anni ‘60 a Sarajevo divenne giornalista e collaborò per tanti anni con il giornale Oslobodjenje di Sarajevo e con la Radio Televisione di Sarajevo. La sua attività di giornalista e scrittore era incentrata sulla conoscenza della sua gente, racconti e poesie narravano delle vicende e della vita quotidiana dei Rom. Negli anni ‘70 partì per l'Italia per recarsi a Torino, dove lavorò nella fabbrica della Fiat.
All’epoca le sue poesie erano già molto conosciute in Bosnia: furono ampiamente diffuse attraverso giornali, riviste, radio e televisione. E così anche in Italia Rasim era ormai diventato una figura di poeta molto nota. Settimanalmente la RAI dedicò uno spazio ai suoi racconti e alle sue poesie sulla cultura Rom. Rasim ha pubblicato le sue poesie in Italia in lingua romanì-italiana in una raccolta intitolata "Rasim, poeta Zingaro", Publi e Stampe -Milano, 1978.
Inoltre, ha collaborato con la rivista bimestrale di studi zingari Lachio Drom (buon viaggio) fondata nel 1965 da Mirella Karpati insieme a don Bruno Nicolini, pubblicata dal Centro Studi zingari dal 1965 fino al 1999 sotto la sua direzione. Rasim, che divenne molto amico dei due fondatori, pubblicava vecchie storie rom in lingua romanì e in italiano. Il frutto di questa collaborazione è stato riversato in un libro intitolato «Lachio Drom».
Mentre per il libro: Rasim Sejdić, Eppure cantavano le loro anime, pubblicato presso I.S.U. Università Cattolica, Milano, Italia 2013, Rasim collaborò con Giulio Soravia, studioso della cultura sinti, che nel 1969 iniziò a scrivere per «Lachio Drom». Insieme a Rasim elaborò la raccolta di testi, favole, proverbi, pubblicati poi sul libro.
Una delle sue canzoni più famose è "Gazisarde Romengi Violina", ossia “Hanno calpestato il Violino Rom” riferita al genocidio Rom durante il periodo nazista nel campo di Jasenovac. Questo è stato il suo modo di denunziare le persecuzioni subite dai Rom, ma anche di far conoscere le tradizioni della sua gente.
Rasim Sejdić ha aperto una nuova strada per la cultura dei Rom. Il futuro dei Rom è stato arricchito della sua scrittura, mentre prima la cultura Rom viveva di una tradizione orale che era limitata solo all’interno delle comunità. La scrittura di Rasim ha testimoniato le vicende e diffuso la cultura e la lingua del popolo Rom.
Ha risposto alle tre domande Marko Aladin Sejdić, attivista, scrittore e poeta, figlio del celebre poeta Rasim.
SOLO TRE DOMANDE
- Mi descrivo con solo tre aggettivi
- Leale.
- Centrato.
- Originale.
- Il solo evento che mi ha cambiato la vita
- L'aver scoperto la poesia in giovane età.
- Solo un link socialmente utile
l'intervista di Patrizia Boi a Marko Aladin Sejdić
Come afferma Santino Spinelli in tutto il territorio balcanico ci sono importanti letterati Rom che hanno acquisito fama internazionale, come si colloca la figura di tuo padre tra questi?
È stato uno dei Rom celebri che hanno cambiato la nostra storia. Era un grande cantastorie che ci teneva incollati mentre narrava Fiabe, Storie e Detti, quando suonava la chitarra o cantava nel silenzio della verde montagna. Ha studiato, ha preso la qualifica di giornalista e ha sempre scambiato le sue conoscenze con persone importanti, spesso intervistato da giornali, riviste, radio e televisioni, in Italia anche dalla Rai. Nella sua breve vita durata circa 37 anni ha vissuto intensamente sempre circondato da Non-Rom, perché nella sua mente avanti con i tempi lui si voleva aprire a tutti i mondi possibili. Era un cosmopolita ante-litteram. Aveva la capacità di donare i suoi racconti e quando li aveva narrati ormai appartenevano a chi li aveva ascoltati. Era un antropologo specializzato nella cultura Rom, negli usi e costumi del nostro popolo. Ci ha lasciato un’eredità spirituale che vive ancora dopo oltre 40 anni dalla sua morte. E come lui molti sono i Rom famosi, io stesso ho fatto una ricerca e ho cominciato a scoprire tanti nomi che nessuno conosceva, come Charlie Chaplin, Rita Hayworth, Yul Brynner, Django, ecc. Chi l’avrebbe detto?
Cosa ricordi della personalità di Rasim nell’ambito familiare?
Io ero molto piccolo quando viveva con noi, avevo solo 4 o 5 anni e mi ricordo che la sera veniva da me e mi recitava una poesia per farmi addormentare. Lui sapeva tutto a memoria, non aveva bisogno di leggere, si ricordava tutto quello che scriveva. Poi ricordo la nostra terra che aveva comprato il nonno per costruirci la casa, noi vedevamo i boschi verdi e lui nelle giornate di sole si sedeva sul prato e suonava e cantava e noi bambini gli stavamo attorno, volevamo sentire ed essere come lui. Era sempre ben vestito, frequentava persone importanti, giornalisti, artisti, letterati. Poi è andato a Torino a lavorare alla Fiat e stava lontano anche sei mesi. Per fortuna tornava e stava con noi un mese intero, perché sempre qualche giornalista lo accompagnava per conoscere la vita di noi Rom. Avevo solo undici anni quando si è ammalato e lo hanno portato in ospedale in fin di vita, prima a Torino, poi a Zagabria e infine a Sarajevo. Prima di morire mi ha detto di fare da bravo e di ascoltare mia madre, questa è la mia ultima immagine di lui, pallido, magro, in un letto d’ospedale, l’ultima volta che l’ho visto.
Anche tu sei Poeta come tuo padre: che ruolo aveva la poesia nella vita di Rasim?
La poesia per lui era tutto, era il canto della nostra gente, era musica per le nostre orecchie, era l’occasione per raccontare la nostra quotidianità, per insegnarci le tradizioni degli antenati, per denunciare gli abusi, i soprusi, le persecuzioni. Era un’arma di difesa, ma anche un’arma di trasformazione, la poesia attenuava il dolore, attutiva la sofferenza delle tragedie, trasfigurava gli accadimenti più devastanti per riportare gioia, amore e speranza anche nell’annullamento dei nostri uomini, donne e bambini durante il ‘Samudaripen’. E un intero popolo massacrato può così essere metaforicamente rappresentato dal violino, dal violino Rom, uno strumento della nostra cultura, della nostra Arte, della nostra essenza...
Poesia e Musica si miscelano nell’opera artistica di Rasim: che funzione aveva per lui la musica?
Come per tutti i Rom la Musica era il suo pane quotidiano, il ritmo era lo strumento per cadenzare le giornate, i nostri riti, le nostre feste, i nostri incontri. La Poesia spesso diventava canzone che rendeva leggera ogni pesantezza, ogni tristezza, ogni paura...
Cosa ti ha lasciato come eredità spirituale tuo padre?
Mi ha lasciato così presto, eppure mi ha investito della sua Arte. Mi ha insegnato a essere Poeta. Mi ha lasciato i suoi studi, le sue Storie, le sue Fiabe. Rammento ancora la sua voce, sussurra ancora alle mie orecchie i suoi canti, le parole sommesse, l’emozione dei suoi racconti. È come se lo risentissi quando leggo i suoi versi, chiudo gli occhi e mi sembra di sentire le sue mani che mi accarezzano, che sfiorano le corde della mia anima e mi suggeriscono cosa scrivere...
In una tua splendida poesia paragoni tuo padre al Fuoco mentre tu sei il Vento, perché?
Sono elementi della natura che simboleggiano la mobilità dei Rom. Il Fuoco ci ricorda la famiglia, l'amore, la dignità, il rispetto, i valori, il gruppo di appartenenza, la felicità, la vita quotidiana, con le sue gioie e tristezze, vissuta tanto tempo fa, con i nostri padri, madri, parenti e amici, nella nostra antica comunità. Il Vento ci ricorda il cambiamento che si rinnova in ogni momento, con le nascite dei figli che portano speranza al nostro futuro, trasformando i momenti bui della nostra vita e del nostro passato. Mio padre rappresentava il Fuoco della creazione, il cuore pulsante del nostro popolo e io sono il vento che cerca di non far spegnere quella fiamma, per me, per la nostra gente, per i posteri.