Con grande piacere vi segnaliamo la mostra 'Il Custode delle foglie' di Luigi Menichelli, presso lo Studio Celletti Architetti, in via Simone de Saint Bon 26 a Roma! La personale di Menichelli, a cura di Simonetta Milazzo, sarà aperta al pubblico dal 16 novembre 2018 al 12 gennaio 2019, l'inaugurazione è prevista venerdì 16 novembre dalle 18.30 alle 22.00. Condividiamo con voi la descrizione della curatrice: "Il Custode delle foglie. Le foglie obbediscono al ritmo della vita: gli alberi per riposarsi le abbandonano, ne favoriscono il distacco, le lasciano cadere al suolo perché diano nuova sostanza alla terra; poi, con l’avvicendarsi delle stagioni, dai loro rami torneranno a generarsi i germogli, che si dischiuderanno in forma, colore e “vitalità”. Luigi Menichelli non si arrende alla loro perdita, respinge l’idea di una natura che, generata dalla Madre/Terra - Donna/Natura si avvii al disfacimento; raccoglie le foglie da terra con fare delicato per salvaguardarne la vulnerabilità, raduna arbusti, rami abbandonati, frutti e, con modi espressivi già frequentati dagli anni Settanta, l’artista ne dà testimonianza, li “usa”, senza però alterarne la loro tipicità. A partire dai primi anni ’90, determinante nello sviluppo della poetica di Menichelli è stato il viaggio compiuto negli Stati Uniti; era autunno nei boschi del New England: lo spettacolo toglieva il fiato. Quello che era stato un invito a contemplare, si è fatto strada nella sua mente insieme a pensieri e riflessioni sul bisogno disperato di natura: “l’uomo è minacciato, la natura lo è, questa vegetazione è fragile, ma ce la faremo, tutti insieme” dice. Non gli basta più disegnare e dipingere e intraprende un nuovo genere di rappresentazione; per farlo occorre però sperimentare un procedimento, un processo, un modo per restituire alle foglie, che da quel momento raccoglie a piene mani, un nuovo vigore. L’artista sa fino a che punto può spingersi, ma se ne deve impadronire e rispondere all’istanza-urgenza di farne arte. Henry Moore dice: ...“intelletto e immaginazione, conscio e inconscio sono ugualmente necessari all’arte”. Menichelli “proviene dalla materia”, così era concepita la sua pittura e i suoi, da quel momento in poi, possono diventare lavori in rilievo. Ogni sua composizione-scultura si può definire un evento plastico figurativo: le sue sono opere-ambiente, sono “icone”. Sono diventate la cifra stilistica che riesce in modo inequivocabile ad attribuirne la paternità. Nel suo atelier l’artista opera, sulla vegetazione raccolta, una manipolazione che non ne intacca l’identità: un’appropriazione necessaria. Egli compensa, con immersione nelle resine, quella fragilità operata dal trascorrere delle stagioni; ora la consistenza degli elementi naturali si fa morbida e malleabile e può intervenire a disporre e dislocare le foglie facendo sì che tra esse si generi anche una sorta di dinamismo. Prima le accostava, ne dava un ordine, comunque un ritmo che magicamente proseguiva oltre la composizione, poi le sculture che Menichelli espressivamente compone, hanno perso l’aspetto in qualche modo statico, per diventare piuttosto l’immagine di corpi in risonanza, foglie compenetrate tra i cui vuoti, negli incastri, vibra lo spazio. Uno spazio che appare sì delimitato, perché la composizione è “calata” entro un contenitore (quello di una teca in plexiglas che ha scelto di adottare per contenere l’assemblaggio), ma l’involucro trasparente teatralizza la scena/composizione, ne fa un insieme che non potrebbe in alcun modo essere racchiuso in una cornice o essere rigidamente delimitato e in qualche misura assumere un aspetto “arrogante”. Menichelli ha sempre connotato le sue opere con la luce e quella luce che fa crescere le piante è, per lui, imprescindibile, non ne può fare a meno e ne sceglie la più idonea intensità anche per compiere i suoi interventi di pura creazione. Giochi di luce e ombre connotavano già le sue prime opere insieme a pigmenti colorati; pigmenti che ora sono smalti, applicati in senso pieno, senza paura, senza soggezione alcuna e si imprimono sulle composizioni con accese policromie che risultano vibranti, dirompenti, palpitanti, ma anche con l’uso del bianco che tutti i colori comprende. Le sue, in verità, si definirebbero scatole, in cui convivono il naturale e l’artificiale, ma per la l’artista sono come vetrine, quelle dei musei in cui vengono esposti gli oggetti ritrovati nel corso del tempo; le bacheche a cui ci accostiamo per impossessarci delle testimonianze preservate e giunte a noi, per raccontarci di noi e delle storie del mondo. Nelle teche di Luigi Menichelli si afferma, a suo dire, una “dimensione di intimità”; a noi è offerta la possibilità di vedute frontali e laterali e da ultimo persino il retro su cui trovano spazio altri materiali, segni, annotazioni, quasi appunti, che non intaccano l’armonia della creazione artistica e completano il messaggio poetico, così da poter cogliere nelle opere anche una quarta dimensione, quella del tempo. Non solo quello trascorso in vita, ma anche quello affidato al dopo, a testimonianza e memoria, per mostrare, con sensibilità, una natura ancora vitale: le foglie muoiono solo un po’."
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