Il destino, anzi, le conseguenze della seconda guerra mondiale che ha visto la sconfitta dell’Italia, e la regalìa, da parte delle potenze vincitrici, dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia alla Jugoslavia comunista, mi ha fatto nascere, figlio di esuli fiumani, in un campo profughi, già campo di concentramento della prima guerra mondiale: quello di Servigliano, oggi diventato monumento storico, anche se non è tale perché ci sono nato io in quel 5 aprile del 1948. Non è da tutti, però, nascere in un simile posto, anche se conosco almeno altre due persone che ci sono nate, due mie coetanee, una cugina, poi trasmigrata a San Paolo del Brasile, e una ragazza con la quale, adolescenti, abbiamo dato forma e sostanza al nostro reciproco primo amore, quello che non si scorda mai.
Tuttavia, sono l’unico della nidiata esule di quei giorni e di quel luogo che, imboccata decisamente la strada della letteratura, quella della poesia in gioventù e, poi, quella quasi esclusiva della narrativa, ha tratto materia alla quale ispirarsi per scrivere i suoi libri. Non solo quella materia, perché, per fortuna, tante altre esperienze, non esclusa quella di frequentare i servizi segreti, hanno accompagnato la mia vita fornendomi ispirazione per scrivere tante storie. Tutte, comunque, con un comune denominatore: la frontiera. Non solo perché la decisione delle potenze vincitrici di spostare il confine orientale più a occidente mi ha segnato costringendo i miei genitori, con altre 300 mila persone, a spostarsi di chilometri e chilometri (alcuni di migliaia di chilometri come la famiglia della mia cugina a San Paolo del Brasile), ma anche perché la frontiera me la sono trovata subito davanti, ed era il muro del campo profughi dentro il quale c’eravamo noi, con il nostro dialetto istroveneto, la nostra cultura, le nostre tradizioni, e al di fuori gli altri con le loro. Così è stato anche negli anni successivi, quando dal campo profughi di Servigliano siamo passati a un altro campo, il Villaggio Giuliano-Dalmata di Roma, consistente in una specie di falansteri chiamati padiglioni, in origine adibiti a dormitori per gli operai che dovevano costruire l’E.42, l’Esposizione Universale Romana, poi interrotta per via della guerra. I padiglioni, dentro ciascuno dei quali vivevano 11 famiglie, erano collegati l’uno all’altro da due pensiline dirimpettaie lunghe circa 500 metri, che si riunivano all’entrata dov’era posta una guardiania – altra frontiera – oltre la quale si estendeva l’agro pontino. Ci sono vissuto fino all’età di 10 anni. Poi, diventato adulto, per non perdere l’abitudine della della frontiera, mi è capitato di sposarmi con una ragazza di madre greca, di un’isola, quella di Kos, posta a 4 miglia marine dall’Anatolia, che nei secoli era appartenuta all’impero ottomano, pur essendo abitata da greci, quindi dal 1912 al 1947 all’Italia, con occupazioni, nel corso della guerra mondiale, prima tedesca e poi inglese, fino a diventare greca e contando sempre una nutrita minoranza turca. Confini, pertanto, anche questi, come quello orientale italiano, ricchi di storia, lingue, culture, che hanno dato vita ai miei romanzi, racconti e saggi…
Nel frattempo, mi sono occupato prevalentemente di stampa aziendale, editoria, ufficio stampa, critica letteraria. Per cui abbiamo avuto finora, per quanto riguarda la narrativa “Massacro per un presidente” (Mondadori, 1981), “Una storia istriana” (Rusconi, 1987), “Crociera pericolosa” (Mondadori, 1993-Oltre Edizioni, 2021), “Operazione Venere” (Mondadori, 1996-Oltre edizioni 2022), “I confini dell’odio” (Aragno, 2002- Gammarò 2022), “L’uomo di Kos” (Hobby&Work, 2004), “Il fratello greco” (Hacca, 2010), “Verso est-racconti di oltre il confine orientale e dell’Egeo” (Campanotto, 2006), “I testimoni muti” (Mursia, 2011), “Essere Bob Lang” (Hacca, 2012), “Il console romeno” (Oltre Edizioni, 2013), “Manuale sentimentale dell’isola di Kos” (Oltre edizioni, 2016), “Balcanica- viaggio nel sudest europeo attraversola letteratura” (Novecento Libri, 2018), “Apologia della lettura” (Historica, 2020).
Infine, l’ultimo finora, in libreria dal 10 febbraio del corrente anno 2023, “Eredità colpevole”, edito da Voland. Romanzo, quest’ultimo, che racconta un’avvincente indagine dalle tinte noir, condotta da un giornalista, Guido Lednaz, tra Roma e Trieste, che, ripercorrendo una delle pagine più sanguinose della storia istro-fiumana e il conseguente esodo di un intero popolo, lo porterà a scoprire una drammatica verità legata all’omicidio di un giudice che aveva assolto un criminale di guerra titino, nonostante la sentenza lo imputasse di omicidio plurimo continuato e aggravato. Tra i miei scritti, anche il soggetto e la sceneggiatura del docufilm “Hotel Sarajevo”, per la regia di Barbara Cupisti, prodotto da Clipper Media e Rai Cinema.
SOLO TRE DOMANDE
- Mi descrivo con solo tre aggettivi
- Paziente.
- Cordiale.
- Disciplinato.
- Il solo evento che mi ha cambiato la vita
- La morte della mia prima moglie.
- Solo un link socialmente utile
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